Sul salario minimo non si poteva che andare a finire con una prima affermazione di distanza dall’intervento legislativo da parte del Cnel. L’assemblea di questo organismo costituzionale dedicato alle rappresentanze del lavoro nella valutazione degli esiti della prima fase istruttoria e tecnica sul lavoro povero e salario minimo, si è pronunciato positivamente con il solo voto contrario della Cgil. Il 12 ottobre si approverà il documento finale corredato di ogni approfondimento e raccomandazione al governo per il superamento del problema in questione.
Ma si sa da ora che si sottolineerà la inopportunità dell’intervento legislativo nella considerazione che apporterebbe più problemi di quelli che potrebbe risolvere. Sarà ribadita anche la necessità di una contrattazione collettiva più attenta ai fattori negoziali. Questa urgenza è auspicata a che possa essere la vera prima leva per incentivare efficienza nell’organizzazione del lavoro, per conseguire maggiore produttività per incrementare maggiori u8li per aumentare i salari.
Si raccomanderà anche di praticare politiche rivolte ad alleggerire i carichi fiscali sulle buste paga ed incentivi più sostanziosi per gli accordi collettivi aziendali di produttività. D’altronde dal Cnel non ci si poteva che aspettare questo esito. L’assemblea è composta da rappresentanti di ogni associazione del lavoro: di imprenditori piccoli, medi e grandi, di sindacati e di espressioni associative in generale riconducibili ad interessi dei lavoratori.
Costoro sono gelosi della loro autonomia contrattuale, e vedono un grosso rischio la consegna del fulcro della propria funzione ad un Parlamento che interverrebbe periodicamente a decidere dei minimi contrattuali, influenzato dalle consuete pulsioni dei partiti in cerca di consenso elettorale. Ed infatti è ben visibile la pressione sulla opinione pubblica dei partiti fautori della soluzione legislativa come d’altronde dei partiti contrari.
La riprova del loro errore risiede semplicemente da due aspetti: essi trovano conveniente soffermarsi sugli effetti e non sulle cause; in vista del documento finanziario neanche provano a mettersi d’accordo sulla priorità da assegnare ai salari un privilegio fiscale deciso e stabile. Non accennano minimamente a fare chiarezza sul sistema degli appalti e dei subappalti, concessioni, autorizzazioni gestite dagli enti locali e dallo Stato, non sempre orientati alla migliore selezione delle imprese allo scopo di mantenere in vita quella opacità complice del salario povero e delle morti sul lavoro.
Ed infatti il salario povero, preso in ostaggio per le contese poli8che ha bisogno di prospettive diverse. I cambiamenti si possono ottenere alla esclusiva condizione che ciascuno dei soggetti politici e sociali si prendano davvero le proprie responsabilità al riparo dalle solite fumisterie. Sono queste le ragioni che ci hanno condotto ad avere i peggiori salari dei paesi Ocse. Se smettessero di addebitare all’altro i disastri che essi stessi procurano potrebbero dedicarsi all’economia, alla buona gestione di sistemi trasparenti che influiscono sul lavoro, del fisco, del carattere delle stesse soluzioni contrattuali. Potrebbero aiutare a svelare la verità più banale: il buon salario si ottiene da una buona redistribuzione della ricchezza alimentata da un fisco morigerato e dalla efficienza del Paese e dei luoghi di produzione.